Curata

di Daniela Pavoletti

E’ nella mia natura pensare e sentire che spetta a me fare il primo passo; per riparare a chissà quale mancanza o colpa penso e sento che devo “avere cura” per prima.

Nella Casa dell’Ecologia Umana incontro persone che camminano, riflettono, meditano e provano a prendersi cura dell’altro, in qualunque forma esso si manifesti; qui posso rallentare e provare a dare spazio a chi vuole prendersi cura di me.

Dal 17 al 19 luglio la Casa dell’Ecologia Umana ha ospitato la seconda edizione del Festival AL femminile, la Cura è stata esplorata ed indagata da diversi punti di vista e mi ha lasciato un canestro di parole da cui attingere un pensiero nuovo ogni giorno.

Eccone alcuni.

Abbiamo bisogno di parole che abbiano un corpo e che sappiano collegare il suono alla sostanza, di parole vuote non ne posso più. Che cosa dà corpo alle parole? L’esperienza di una vita trascorsa a farsi domande, ad osservare i fatti e a studiare con dedizione e fatica per trovare le risposte; la passione consapevole di chi vuole condividere una drammatica verità e, contemporaneamente, vuole indicare una strada per salvarsi; la capacità visionaria di chi ha capito che non tutta la vita si tocca, c’è una vita che sfugge alle regole della materia, almeno a quelle conosciute, e che apre alla ricerca di un senso della vita sempre nuovo.

Abbiamo bisogno di indirizzare lo sguardo secondo un ritmo ternario: dentro, fuori, un dentro nuovo. L’attenzione dello sguardo va riportata sui fatti; il primo sguardo deve riguardare ciò che accade a me, nel luogo e nel tempo che abito; il secondo passaggio consiste nell’alzare lo sguardo fino al mio orizzonte massimo e guardare ciò che mi accade intorno, ciò che accade alla Creazione tutta intera e l’ultimo passaggio riconduce lo sguardo su di me, ma, inevitabilmente, al terzo passaggio io non sarò più la stessa. E così di nuovo.

Abbiamo bisogno di Bene: di pensare, di desiderare e di agire il Bene. Gran parte di quello che mi accade intorno mi fa paura, non mi piace, suscita in me rabbia e senso di impotenza, una qualche forma di odio e allora mi chiedo, riecheggiando i due protagonisti del film “Maria Maddalena” di Garth Davis: come mi fa sentire tutto questo odio, tutta questa rabbia? La risposta è: male, mi fa stare male; l’unica cosa che mi salva è agire il Bene, qui e ora, nel mio piccolo.

Concludo. Il Festival e la Casa dell’Ecologia mi hanno curata, non guarita, ma vista, riconosciuta, sostenuta e resa parte di un’umanità in cammino.

Un processo trasformativo è in atto ed ha anch’esso un ritmo ternario: dono, ricevo e cambio, dono ancora.

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