IL TEMPO NUOVO

di Daniela Pavoletti

Pensieri dall’incontro con John Martin Kuvarapu (Swami Sahajananda)


Libertà dal passato e dal futuro, il presente come veicolo di eternità”, intorno a queste parole di Martin si è mosso il mio pensiero riportando alla memoria uno dei frammenti di Kafka intitolati Egli. Kafka scrive di una “linea di lotta”, in cui le forze equipotenti del passato e del futuro, oltre ad opporsi fra di loro, entrano in conflitto con l’uomo, che si trova sospeso nell’attimo presente del loro scontro: “Egli ha due avversari: il primo lo incalza alle spalle, dall’origine, il secondo gli taglia la strada davanti. Egli combatte con entrambi”.

Mi sembra particolarmente interessante nell’immagine di Kafka il fatto che le direzioni di passato e futuro siano invertite rispetto al pensiero comune e immediato: il passato non va all’indietro e il futuro non va avanti, entrambi spingono contro l’individuo. Credo che l’esperienza di molti si trovi rappresentata in questa scena, ognuno di noi ha sentito il peso dei ricordi, della colpa, del rimorso ma anche la pressione dell’ansia, del pregiudizio, dell’anticipazione di ciò che potrebbe essere.

La visione proposta da Martin ha, rispetto a questo particolare aspetto della condizione umana, un enorme potere liberante. ll tempo percepito come divenire, che procede verso uno scopo, contenuto nei comportamenti quotidiani è un tempo fatto per la continuità, per la continuazione di una stirpe, di un potere, di un ruolo; esiste però la possibilità di trascendere questo tempo e di farsi veicoli di un’eternità che è potenza di Dio.

Come fare? Cosa fare per liberarsi del tempo umano e diventare scatole nere vuote nelle mani di Dio?

Recentemente alla Casa dell’ecologia umana si è tenuto un seminario su Hannah Arendt e si è parlato del ruolo dell’azione come suprema attività umana libera e come una delle articolazioni più elementari della condizione umana, insieme al lavoro e all’opera.

Una delle caratteristiche dell’azione secondo Arendt è l’imprevedibilità ovvero l’impossibilità di agire per un fine, dato che l’azione di ciascuno avviene nella pluralità delle relazioni umane e si inserisce in un intreccio fitto di altre azioni, scatenando una reazione a catena infinita e, di fatto, non controllabile.

A questo punto azzardo una mia sintesi interpretativa di questi due movimenti del pensiero:
il potere liberante dell’azione sta nel fatto che ogni essere umano, per sua natura, dalla sua nascita, può dare inizio a qualcosa di nuovo, può creare qualcosa di mai esistito prima.
Questo agire porta con sé la necessità di liberarsi dal passato, dal bisogno di continuare qualcosa di già esistente, ma porta con sé anche la necessità di non pensare alle conseguenze delle proprie azioni come prevedibili e controllabili ovvero impone la libertà dal futuro.

Il presente come veicolo di eternità è in ogni azione compiuta con coscienza, ogni azione che non è un semplice comportamento, ogni azione che si origina dal canale costantemente aperto verso una qualche forma di trascendenza.

Ognuno di noi, in virtù del fatto che è nato, può agire un tempo nuovo.

Ogni momento della nostra vita può essere Natale.

 

 

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